È passato più di un mese da quando è nata la nostra bambina, e in tante anche tra le amiche più strette, ancora mi chiedono come è andato il parto.
Diario di bordo, idee e scritture senza filtri. No-mammy blog! Voglio mettere nero su bianco alcune emozioni e sensazioni di questo percorso particolare, lungo e difficoltoso che stiamo iniziando ad affrontare: la PMA!
È arrivato il momento di rompere la magia...
Perché si, voglio condividere con voi un altro pezzo di questo percorso.
Sono tornata a leggere i post della scorsa gravidanza, quando ci chiedevamo chi sarebbe arrivato nella nostra famiglia.
Anche stavolta abbiamo visualizzato il numero 4, e sia io che mio marito avevamo immaginato un altro maschietto (io ero davvero sicura, perché l'istinto materno non sbaglia mai); il nostro cucciolo avrebbe voluto "un fratellino E una sorellina", ma abbiamo cercato di spiegargli che c'era solo uno dei due in viaggio verso la nostra famiglia.
Questi ultimi mesi sono stati un continuo alti e bassi, delle montagne russe di emozioni che ancora oggi mi porto dietro.
Come iniziano le favole? Con "C'era una volta...".
Il mio corpo continua a tradirmi. Me la posso prendere solo con lui. Tanti sacrifici, tanti soldi, tante medicine... Tanta speranza che si è infranta. Sono passati 2 mesi da quel giorno, da quel transfer e vedo ancora nitida quella "stellina" che nel monitor viene rilasciata dentro di me.
Quando si cerca un figlio sappiamo bene quali
sono i dubbi e speranze, tutto il circo che gira intorno a questa ricerca impazzita.Chi come noi ha avuto un figlio grazie alla donazione di gameti, avrà altre cose in più a cui pensare, perché continua a pesare sulla testa di nostro figlio la non conoscenza del 50% del suo patrimonio genetico. Se sembra una cosa da poco conto, realmente non lo è, cioè: già prima che il bambino nasca dobbiamo mettere bene in chiaro con qualsiasi tipo di medico che il bambino che portiamo in grembo è figlio di una fecondazione eterologa.
Il bimbo nasce, cresce e tutti i medici con cui avrà a che fare dovranno/vorranno sapere quali sono le sue origini: origini che neanche noi sappiamo per certo ma non ce ne preoccupiamo, perché non è il sangue quello che conta, non è realmente il suo DNA che ce lo fa sentire più o meno nostro. Siamo sereni, perché chi ha donato i gameti è stato rivoltato come un calzino, è stato sottoposto a molti screening, proprio per non incappare in problematiche mediche. Il donatore della coppia, riceve "lo stesso trattamento", proprio perché la compatibilità deve essere sicura e senza macchia.
Io ci credo al destino e credo anche nelle coincidenze; anche se stavolta qualcosa ho fatto finta di non vederla, ma insomma, mica deve coincidere proprio tutto tutto tutto tutto tutto tutto tutto vero?
Facciamo un passo indietro di più di un mese.
Ci siamo preparati al transfer psicologicamente, fisicamente, con le eco e le medicine, con l'alimentazione, con l'organizzazione giornaliera... E quindi non è un caso se il transfer sarà proprio il giorno quando, tre anni fa, ho scoperto le beta positive del nostro piccolo... però si sa, la vita ci mette alla prova e ci fa gli scherzetti. E allora... Il giorno prima vado al lavoro, mi porta mio marito in anticipo, ci prendiamo un po' di tempo insieme, ma io piena di ormoni mi faccio anche un piantarello e cerco di anestetizzare questo momento che aspetto da tempo. Dopo circa 20 min che lui mi ha lasciata, ricevo una sua chiamata "ho avuto un incidente con il motorino, sto bene ma sto aspettando l'ambulanza". Panico. Quella lacrime che stavo trattenendo diventano un fiume in piena. Sono tutto il giorno a lavoro tenendo i contatti con mio cognato e mio padre, che ricevevano aggiornamenti via SMS.
La disperazione nel pensare al giorno dopo, al nostro momento magico (mio marito niente di super grave) a quello che avremmo voluto/dovuto passare... Spalla rotta (da fare accertamenti), cuore rattoppato, niente sonno e tante occhiaie, la mattina seguente ci dirigiamo con il taxi in clinica.
Questa estate, il nostro cucciolo ha fatto passi da gigante: sempre più vocabolario, si comporta da bimbo grande, ha
imparato a giocare con gli altri bimbi.Nonostante a noi adulti sembri così semplice e immediata come cosa, interagire faccia a faccia con un altro bimbo (cioè senza litigarsi i giochi, senza stare vicini ma facendo le cose da soli) richiede tempo. Ed io sono contenta, perché sembra che finalmente sia arrivato il tempo/momento giusto.
Attorno ai due anni i bambini iniziano ad essere attratti dai coetanei e dai bambini più grandi, infatti iniziano brevi interazioni con gli altri: i piccoli si guardano, si prendono i giochi l’uno dalle mani dell’altro; il loro rapportarsi agli altri bambini non prevede un progetto di gioco comune, ma si tratta di scambi brevi e fugaci. È verso i tre anni che i bambini iniziano a giocare insieme agli altri, soprattutto in quello che si chiama "gioco parallelo".
Abbiamo scelto di mandare lo scorso anno il nostro bimbo al nido, perché frequentare i coetanei è importante fin da piccoli - e non avendo amichetti vicini, ci è sembrata una buona soluzione anche per questo!
E così, dopo mille corse in riva al mare insieme a Sofia, cercando di costruire un gran castello di sabbia; dopo troppi calci alla palla insieme a Leonardo ed altre monellerie varie, ecco che torna il momento della scuola: quale miglior occasione per crescere ancora, avere un confronto con coetanei (e non solo), sentirsi parte di un gruppo etc?
Nuove emozioni, nuovi amichetti ma tanta voglia di tornare a giocare nello spazio che lo ha coccolato e accolto lo scorso anno.
Vedremo piccoli passi/cambiamenti, che poi diventeranno il nuovo modo di essere, di pensare e di agire del nostro bambino.
E noi, pronto a sostenerlo, a tendergli la mano per non fargli perdere l'equilibrio... ad insegnargli le cose più semplici ed importanti della vita.
A piccoli passi, un giorno per volta, cresce e noi con lui!
Sarà che avere un piccolo a carico, è un impegno a 360 gradi, specialmente dal punto di vista emotivo. Questa estate abbiamo avuto due lutti importanti in famiglia, quindi forse per questo, inizio a pensare "e se a mio marito succedesse qualcosa?" oppure "se a me succedesse qualcosa?"